Riassumo qui il suo mantra mediatico:
Lo sviluppo e gli investimenti ferroviari, anche se ingenti, non producono apprezzabili riequilibri modali tra la gomma e il ferro, pertanto oltre che inutili sono anche iniqui per i cittadini contribuenti, in particolar modo per gli automobilisti che si vedono sottratte ingenti risorse per la viabilità e connessi servizi.
Inoltre tali investimenti, spesso motivati come "cura del ferro", sono a suo dire anche inutili per la crescita economica, cioè il Pil.
A corollario di questa tesi abbiamo anche la sua visione dell'evoluzione della mobilità nella storia umana:
Cavallo ► ruota ► carro ► treno (tram, metro) ► auto.
Apice indiscusso di questa evoluzione è l'Auto che l'umanità ha scelto ed eletto come mezzo preferito per la sua mobilità nella stragrande maggioranza dei casi, sia in ambito urbano che extraurbano.
Nel suo assunto i treni e le strade ferrate, soprattutto sulle medie distanze regionali, in funzione dei pendolari, del turismo o viaggiatori occasionali, restano solo una parentesi ormai superata nella storia della mobilità e dei trasporti.
le nostre risposte
Riporto comunque qui di seguito il testo senza link, ma senza l'odiosa pubblicità dell'Automotive:
Il treno ‘non aiuta la crescita del Pil’. Ma a che serve se il clima impazzisce e la gente si ammala?
L’imponente scena dell’incidente ferroviario di Lodi e il dolore per i due macchinisti morti sul lavoro, alle cui famiglie va tutta la mia solidarietà, non devono farci dimenticare che il treno è uno dei mezzi più sicuri (e meno inquinanti) per muoversi. Sulla strada muoiono 10 persone al giorno, ogni santo giorno. In un anno, nel 2018 (e fu un anno nero per gli incidenti ferroviari), sono morte 75 persone in treno e 3334 sulla strada.
L’auto è 45 volte più letale del treno. Sulle ferrovie, i guasti e gli errori umani possono essere ridotti a zero (se si investe a dovere sulla manutenzione e tecnologia), mentre sulla strada la variabile della distrazione e della prepotenza umana impera.
Se abbiamo a cuore la salute e la sicurezza, occorre investire sui treni, invogliare la gente a muoversi in treno. Secondo l’ingegner Francesco Ramella, noto critico dei mezzi pubblici e analista dell’Istituto Bruno Leoni (centri studi liberista), è invece vero il contrario: visto che sulle strade ci sono troppi morti, bisogna investire sulle strade. Se si trattasse di investire solo sulla manutenzione delle strade esistenti, potrei anche essere d’accordo. Ma da decenni il grosso degli investimenti statali e regionali è servito per creare nuove strade e autostrade, passanti, bretelle, svincoli e via cementificando, che attirano nuovo traffico in una spirale senza fine. Così, mentre le strade in Italia si sono ramificate come piovre (30mila km solo quelle gestite dall’Anas), le rotaie sono diminuite, con un continuo taglio (nel 2018 c’erano 19.400 km di rotaie, nel 1942 ce n’erano 23.200).
Siamo uno dei Paesi europei che si sposta di più in auto (in media il 58% degli spostamenti, ma varie località hanno punteggi molto più alti) e il Paese con maggior tasso di motorizzazione (645 auto ogni 1000 abitanti). Oltre a inquinare l’aria, saturare lo spazio, rendere le città invivibili, questo esagerato numero di auto uccide quotidianamente vite umane.
Investire in ferrovie d’altra parte non dovrebbe significare unicamente finanziare i treni Alta Velocità (la tendenza in Italia nell’ultimo decennio), ma soprattutto i treni regionali, che spesso sono la Cenerentola degli investimenti, fondamentali affinché la gente molli l’auto (i treni Av sono però molto utili nelle medio-lunghe distanze, dove fanno concorrenza agli inquinanti voli aerei). In Svizzera, ad esempio, le linee secondarie regionali sono efficienti e capillari e il tasso di motorizzazione è diminuito in modo costante dal 2016. In Svizzera una famiglia su quattro non ha l’auto e nelle città la percentuale aumenta.
Il rapporto Pendolaria 2019 invece afferma che “in Italia nel 2019 non è stato inaugurato neanche un chilometro di linee di metropolitane e nel 2018 solo 0,6 km. Per colmare il gap attuale con gli altri grandi Paesi europei dobbiamo decidere che la priorità dei prossimi anni è costruire 200 chilometri di metro, 250 di tram, 300 di linee suburbane.” Eppure, il già citato Ramella dice che questi investimenti non favoriranno la crescita economica e il Pil e quindi non s’hanno da fare.
Ma che cosa ci facciamo col Pil se poi la gente muore? Che ci facciamo col Pil se l’aria è inquinata, i bambini vengono falciati sulla strada, il cemento avanza, le città sono congestionate e il clima è impazzito?
Il Pil crescendo risolverà questi problemi? No, li sta solo aggravando. Il tanto sbandierato disaccoppiamento tra crescita economica e impatto ambientale non è dato. L’attuale modello socio-economico è incompatibile con le capacità di carico, rigenerazione e metabolizzazione della biosfera.
Non è comunque la prima volta che Ramella si scaglia contro la mobilità sostenibile e il movimento per il clima: del luglio 2018 è un suo articolo sul Fatto Quotidiano dal titolo esplicito “Se la mobilità sostenibile è nemica dell’ambiente”. In realtà, secondo l’Agenzia Europea Ambiente, le ferrovie in Europa emettono solo lo 0,5% di gas climalteranti, mentre il traffico su strada emette il 72%, l’aviazione e il trasporto marittimo rispettivamente il 13,4 e il 13,6% (ma sono in rapida ed esponenziale crescita). Si capisce bene chi è il vero nemico del clima.
Nel settembre 2019 dalle colonne del Foglio rassicurava: “Gli impatti del clima saranno piccoli rispetto alla crescita economica attesa per questo secolo”. Certo, talmente piccoli che l’Ipcc parla di 280 milioni di profughi climatici entro il 2050, e la comunità scientifica ci mette in guardia sul fatto che entro pochi decenni circa il 75% delle specie viventi scomparirà dalla Terra. Ma la crescita economica, secondo il capitalismo liberista duro e puro, val bene il disastro climatico.
Se vogliamo invece coltivare qualche chance di salvezza, Pil o non Pil, le rotaie vanno incentivate, protette e ampliate.
Linda Maggiori
Le mie risposte:
Il punto è:
che ci fa tra le pagine del Fatto Quotidiano un ultra-liberista di peso come F. Ramella la cui unica conclamata missione è quella di distruggere il trasporto pubblico e soprattutto il suo asse portante che è e resta il sistema ferroviario per dirottarne i finanziamenti pubblici esclusivamente sulla mobilità privata e le sue infrastrutture? Esattamente tutto il contrario di quello che è ritenuto come mobilità sostenibile?
O almeno perché non vengono affiancati ai suoi articoli, proprio per un "bilanciamento o riequilibrio modale" da lui avversato, articoli di quanti in ambito verde e progressista hanno orientamenti del tutto diversi? Perché gli orientamenti più sostenibili e in sintonia col movimento FFF e di tutti gli ambientalisti possiamo trovarli solo tra i bloggisti (non pagati) del Blog online del Fatto Quotidiano?
Robluf
Il nostro amico Ramella dovrebbe farsi curare.
La sua auto-dipendenza è seria e da non sottovalutare, ma noi gli diamo volentieri i nostri disinteressati consigli.
Ad Oslo dovrebbero esservi case di cura in grado di guarirlo, ma soprattutto è l'ambiente stesso della città che aiuta casi disperati come il suo favorendo l'efficacia della terapia.
In questo caso se si tratta di auto "leggere" o auto "pesanti" la differenza è irrilevante.
A Zurigo poi potrebbe prendere in seria considerazione l'ipotesi di una cura per l'altra sua grave patologia, la terribile "ferro"fobia che gli procura spesso, come tutti ben sappiamo, visioni alterate della realtà con vaniloqui sulle analisi costi/benefici. Una patologia talmente grave che spesso lo vediamo trasformarsi in un killer ferricida, demolitore di ferrovie e negazionista dell'utilità degli investimenti ferroviari. Una seria minaccia per i sistemi ferroviari europei ma soprattutto per quello italiano dove dimostra un particolare accanimento demolitore. Nella sua visione tutti dovrebbero essere patentati e automuniti, chi si attacca al tram è perduto e non partecipa alla crescita del Pil.
Il diritto alla mobilità è subordinato all'acquisto dell'automobile e alla stipula di una assicurazione RC. Chi si rifiuta o si ribella o non ha mezzi finanziari è confinato nel lager residuale del trasporto pubblico o almeno di quello che ne resta dopo le picconate che un sano mondo liberista gli avrà impartito.
Ecco perché gli consigliamo vivamente di farsi curare senza timori, a Zurigo. L'approccio al treno, per evitare crisi di panico, sarà graduale e dosato, prima piccoli tragitti, poi man mano che prende sicurezza i percorsi saranno sempre più lunghi comprendendo anche l'acquisto dell'abbonamento integrato al trasporto pubblico dell'intera confederazione elvetica, da lui spesso citata come esempio negativo delle cose che non si devono fare nel campo ferroviario e del trasporto pubblico.
Forse saranno anche cure particolarmente costose (la cura completa prevede donazioni liberali a favore dell'Associazione Amici della Ferrovia e altre associazioni ambientaliste od anche una attiva partecipazione), ma potrà sempre valutarne l'opportunità con una analisi costi/benefici.
Roberto Luffarelli (Robluf)
Altre risposte le trovate nei miei precedenti blog in questo sito:
Un cambio mentale per un cambio modale
Ferrovie, l'impietoso confronto fra Italia e Svizzera
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